Romagnola, ristoratrice, intervistiamo Donatella Pronti sul ruolo della donna nel mondo degli chef.

Donatella, qual è il ruolo della donna nel mondo della ristorazione secondo la tua esperienza?
«Da sempre, nella mia terra, la Riviera Romagnola, la donna ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella ristorazione. L’”arzdora” preparava il cibo e gestiva l’economia della casa mentre gli uomini pescavano, coltivavano la terra, allevavano bestiame, costruivano case. Le prime pensioni erano ricavate da case ed ogni anno venivano ampliate di qualche stanza. Con il boom economico degli anni 60/70 si costruiscono i grandi alberghi e si ha la necessità di rinnovamento anche nell’ambito della ristorazione. Ecco allora l’arrivo dei primi “berretti lunghi”, gli chef che con scuola ed esperienza, spesso maturata all’estero, rinnovano la cucina. La cuoca assume perciò un ruolo secondario, ma dietro le quinte la sfoglia a mano e tanti preparazioni basilari le svolge lei. Io ho imparato le basi da una cuoca che a sua volta era stata tanti anni a fianco di un grande chef romagnolo. Nella mia piccola pensione, negli anni ‘70, preparavo già piatti fantasiosi e buffet già all’avanguardia. Ho sempre partecipato a tutti i corsi possibili, che si tenevano nella mia zona, conoscendo tanti grandi maestri di cucina, ma tra questi mai donne. Un po’ di maschilismo e cameratismo l’ho sempre riscontrato. Entrando nella FIC e nell’Associazione Cuochi Romagnoli, facendo parte del consiglio, assieme a un’altra donna (Angela Valenti), i nostri colleghi hanno dimostrato sempre più stima nei nostri confronti coinvolgendoci in tutte le attività in egual maniera».

A Parma era presente come giudice al 22° Campionato del Mondo della Pizza. Come chef, quale consiglio tecnico professionale si sente di dare ai pizzaioli?
«A Parma ho visto il massimo della professionalità e talento. Sinceramente nelle proposte di alcuni abbinamenti ero molto dubbiosa, ma poi all’assaggio le pizze erano deliziose con sapori nuovi che lasciavano in bocca un buonissimo gusto e la voglia di continuare a mangiarle ancora. Il mio modesto consiglio è quello di non “esagerare”, sì, è giusto e bello inventare nuovi abbinamenti e tecniche, ma senza appesantire con troppi ingredienti tutti assieme (rischiando così di fare un gran “minestrone”)».

Come si potrebbe evolvere il settore ristorazione in un ottica di sempre maggiore presenza femminile?
«Ricordandoci che le prime insegnanti degli uomini in cucina, sono state le mamme e le pazienti dolci nonne, da sempre la cucina rappresentava un punto d’incontro e di unione tra le donne. Ricette che un tempo venivano tramandate verbalmente di generazione in generazione sono state finalmente raccolte per iscritto dalle donne per le donne. Alcune delle più famose scuole di cucina sono state iniziate se non fondate da donne, tra questi i corsi di cucina: “LE CORDON BLEU” e “THE CULINARI INTITUTE of AMERICA”. Oggi, considerato che le donne cercano di avere sia una carriera professionale, che una famiglia, siamo a un punto di svolta che vede sempre più donne entrare in scuole di cucina, nelle industrie alimentari, nei programmi tele-visivi. Personalmente faccio parte di un’associazione le “LADY CHEF” fondata nel 1996 e che vanta migliaia di associate donne sia in Italia che nel mondo. Sempre più ci ritroviamo in varie manifestazioni culinarie, soprattutto a scopo benefico, partecipiamo ai campi di lavoro della Protezione Civile, ultimo il terremoto nell’Emilia. Vorrei ultimare e ringraziare citando le parole del Presidente della “World Association of Chefs’ Societies”, (anno 2007) Ferdinando Metz: “Condividiamo tutti il dovere di creare e mantenere un ambiente che accetta le donne chef per inseguire il loro sogno di fare ciò che veramente amano. Questo processo deve basarsi su una profonda e radicata fiducia nel fatto che la promozione della donna nella professione culinaria non è solo la cosa giusta, ma l’unica cosa da fare. Stiamo entrando in una nuova era”».