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Non ti va bene la pizza? Puoi sempre fare il procuratore

“Oramai siamo alla canna del gas. Bistrattati, impoveriti e sopraffatti da una crisi e da un Governo di larghe intese e strette vedute che altro non sa fare che tartassare le imprese e contrastare la libera iniziativa privata.
Non se ne può più, e solo e sempre una paga-paga: dalla nuova TARES che prevede aumenti anche del 100%, ai costi di contribuzione esorbitante del personale (non è possibile che gli oneri contributivi siano quasi il doppio di uno stipendio netto di un dipendente).
Per non parlare dei costi dell’energia elettrica fra i più alti in Europa, delle difficoltà di accesso al credito con le  banche che non ne vogliono sapere di mettersi a finanziare le imprese ma, anzi, stringono sempre più i cordoni della borsa.” 
                                          

Giuseppe Corrieri


“In un paese come l’Italia non si può più lavorare. Per mettere a posto le sole carte per aprire la pizzeria ci ho messo sei mesi, dopo un anno ho dovuto chiudere perché la banca non mi ha rinnovato il fido. Eppure ero riuscito a farmi una discreta clientela. Ho deciso di andare a lavorare all’estero, sono certo che avrò migliore fortuna.” 


S.T.


“Negli ultimi 2 anni ho avuto 4 ispezioni della finanza. Quando arrivano mi mettono sottosopra tutto. L’ultima volta sono anche andati a contare i tovaglioli sporchi della giornata per verificare se avevo registrato tutti i coperti.
Ma cos’è questo uno Stato libero o uno Stato di polizia? Nelle quattro visite avute a parte qualche contestazione infondata non hanno trovato nulla di che. E allora cosa hanno fatto? Mi hanno incastrato con gli studi di settore i qual asseriscono “arbitrariamente” che il mio locale deve fare un certo fatturato, e se non lo fa è perché sono evasore.
Ma si può andare avanti cosi? Ci prendono per deliquenti, quando qui ci facciamo dalla mattina alla sera un c… per far quadrare i conti e mandare avanti la famiglia.”


Un ristoratore deluso


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Allora cari lettori, queste sono solo alcune delle proteste, lamentele e confidenze raccolte dalla nostra redazione, da parte degli addetti ai lavori. Abbiamo voluto riportarvele così, nude e crude perché riteniamo sia il modo migliore per evidenziare la realtà difficile che oggi vive il mercato della ristorazione.
Cosa possiamo aggiungere a tali affermazioni?
Nulla. Possiamo solo dire, affermare che fare impresa di ristorazione in Italia, checche ne dicano, è davvero un IMPRESA.
Da una parte, come abbiamo più volte denunciato per l’alto numero dei locali che compongono l’offerta ristorativa, e dall’altra dal diminuito potere di acquisto dei consumatori italiani.
In questa forbice aggiungiamo i costi esorbitanti e le difficoltà di gestione di un’impresa di ristorazione ed ecco che le difficoltà si moltiplicano per mille.
Cosa fare, cosa non fare? Aprire, chiudere? Ingrandirsi, stringersi? È impossibile dare consigli. Ogni suggerimento lascia il tempo che trova se non si conoscono esattamente le vicende di ogni singola impresa.
Ma alcune regole valgono per tutti.
- Attentissima gestione dei costi;
- Puntare sempre sulla qualità e comunque sul miglior rapporto qualità/prezzo;
- Instaurare con la clientela una comunicazione positiva
- E poi lavoro, lavoro e ancora lavoromino-raiola.jpg
- E ancora, come scriviamo nel nostro editoriale una bella carica di fiducia ed ottimismo.
E se non dovesse bastare?
Allora chiudiamo con la solita provocazione che i i nostri cari amici lettori  sicuramente ci permetteranno e diciamo: se proprio la pizzeria non va allora diventa procuratore.
Di chi stiamo parlando?
Ma di lui, del procuratore più famoso e ricco del pianeta calcio. Mino Raiola procuratore fra gli altri di calciatori del calibro di Balotelli e Ibraimovich.
Ma che centra Raiola con la pizza?
Ebbene forse non tutti sanno che il Raiola prima di diventare il procuratore più famoso e pagato, era un pizzaiolo.
Infatti leggiamo sulla sua biografia che nasce a Nocera Inferiore nel 1967, poi la famiglia emigra ad Haarlem, in Olanda. Il padre, allora meccanico, apre con successo un’attività di ristorazione, prima paninoteca, poi pizzeria, e il giovane Mino, che nel frattempo è diventato un ragazzo, dà una mano come cameriere e all’occorrenza aggiungiamo, sforna pure qualche bella pizza. 
Ma Mino è un ragazzo ambizioso e intraprendente: mentre lavora nella pizzeria del padre continua a studiare e poi frequenta anche qualche anno di università. Nel frattempo oltre a fare la pizza, impara le lingue. Oggi ne parla sette, italiano, inglese, tedesco, spagnolo, francese, portoghese e olandese. Insomma un ex pizzaiolo poliglotta.
Gli piace il calcio, come a tutti del resto, giochiccia fino a 18 anni e poi comincia, sempre per hobby, a fare il dirigente. È maledettamente bravo negli affari. Visto che era cresciuto nell’ambito della ristorazione, compra e vende locali.
A vent’anni è già un imprenditore, depone definitivamente la pala di pizzaiolo e apre la sua società di intermediazione, ovvero diventa procuratore a tempo pieno. È bravo: diventerà il numero uno al Mondo con uffici di rappresentanza in diversi Continenti, amico, e fidato consulente dei giocatori più forti e (anche grazie a lui) strapagati. Insomma un numero uno.
Ecco dunque un pizzaiolo che ce l’ha fatta. Senza invidia però: ci consola in fatto che il grande Raiola non doveva essere tanto bravo a far di pizza.


09/10/2013

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