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Il cibo fra sacralità e cultura

L`Italia dei cristiani, ebrei e musulmani a tavola

Il cibo, ci raccontano antropologi, storici, cultori delle scienze, oltre che soddisfare un bisogno primario, nutrirsi, raccoglie in sé tantissimi riti, diversi da cultura a cultura, da nazione a nazione, la maggior parte dei quali ha strettamente a che vedere con la religione. In taluni casi, certi comportamenti alimentari che hanno radici nella religione e nella cultura dei popoli, oggi ritornano in auge come mode alimentari (si pensi ad esempio al pane azzimo).
Di certo si intuirà subito come il pane sia l’alimento basilare di ogni uomo sulla terra, sin da quando l’uomo ha capito come impastare e cuocere.
Dall’Africa a Roma, passando per la Palestina, pani, spianate, focacce, impasti a base di cereali fino alla nostra pizza nata a Napoli, sono stato l’essenziale nutrimento dei popoli.

Il pane azzimodonna-egiziana.jpg
Il pane azzimo (o azimo), preparato con farina di cereali e acqua, è un pane senza lievito, che non subisce il processo di fermentazione. Per secoli è stato l’unico pane conosciuto dall’umanità: impastato con farina integrale, si cuoceva mettendo l’impasto su pietre arroventate o cenere calda.
Continua ad essere il pane pasquale per gli ebrei, che celebrano il ricordo dell’uscita del popolo israelita dall’Egitto, secondo la prescrizione contenuta nel capitolo XII° dell’Esodo.
Così troviamo nella Bibbia: “(…) per sette giorni voi mangerete azzimi. Già dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case (…)”.
In ogni religione, però, ci sono spesso fatti concreti, episodi, spiegazioni umane che si caricano di valori sacri. Così l’importanza sacra del pane azzimo nasce perché, durante la fuga dall’Egitto, gli Ebrei non ebbero il tempo materiale per lasciare lievitare il pane da portare con sé in viaggio.
E nel Cristianesimo il pane azzimo diventa nel tempo l’ostia, non lievitata, che assume quella forma tonda, simbolicamente la forma perfetta, perfetta come Dio.
Oggi il pane azzimo, sacro agli ebrei (e ai Cristiani con l’Ostia) è spesso richiesto nei panifici, ritenuto buono e leggero e perde quell’antico significato sacro.

Italia: un Paese di incroci
Se da un lato l’Occidente cristiano (tanto legato nella religione alle usanze ebraiche) perde i ricordi degli antichi riti (tra i tanti esempi, il pane azzimo, l’agnello pasquale, che andrebbe cotto alla brace e solo alla brace, l’uovo di gallina a Pasqua, simbolo della rinascita e poi diventato un laico uovo di cioccolata) dall’altro lato questo stesso Occidente sta iniziando a conoscere e rispettare le usanze alimentari di altre religioni, come l’Halal e il Kosher. Non manca all’appello l’Italia, nel grande Occidente, tra i Paesi attenti alle culture altrui, anche nel mondo della ristorazione (tantissimi, a Roma, i ristoranti Kosher o Halal).
Quando parliamo di cucina Halal e cucina Kosher stiamo parlando di procedure, di una serie di norme con cui va prodotto o mangiato il cibo.

La cucina Kosherbambino-pane-testa.jpg
Secondo AL Food & Grocery, il 78% dei 35.000 ebrei residenti in Italia rispettano le regole della kasherut ed ecco perché sempre più aziende di food italiane hanno certificato parte della loro produzione trovando così un grande target di consumatori.
Non è esonerata dall’alimentazione kosher neppure la pizza.
È già apparsa, infatti, in molte pizzerie la pizza Kosher, che deve avere necessariamente una mozzarella certificata. Il Kosher, per le sue regole igieniche molto rigide, è diventato per molti consumatori (anche non ebrei) sinonimo di sicurezza e qualità.
Facciamo un esempio di regola kosher: la cucina kosher non consente il contatto tra carne e latticini.
Così, sempre facendo un esempio, si può preparare un hamburger, ma non il cheeseburger. Inoltre per ottenere carne mangiabile gli animali devono essere uccisi con un netto taglio alla gola che ne assicuri il totale dissanguamento e devono essere controllati i loro organi interni: è vietato mangiare un animale qualora presenti malattie o difetti fisici.
Inoltre, il cibo kosher prodotto con utensili precedentemente impiegati per la cottura di cibo non kosher, diventa a sua volta non kosher.

La cucina Halal
Questi precetti alimentari sono molto diffusi nel mondo: in Italia è nato persino un marchio per i ristoranti che seguono i precetti mussulmani, l’Halal Italy, secondo le cui stime il cibo Halal ha un numero di consumatori in espansione nel mondo (oltre 20% l’anno) con circa 2 miliardi di musulmani ed un miliardo di non musulmani interessati ad utilizzare prodotti Halal. Alcune fonti calcolano che in Italia l’Halal registra un giro di affari di circa 5 miliardi di euro.
L’Halal, all’estero, sebbene diffusissimo, è in molti casi criticato, tant’è che alcune associazioni di consumatori richiedono che in ristorante o sulle etichette, sia specificato se il cibo è Halal. Questa richiesta di specificazione nasce dalla preparazione della carne (preparazione in vero simile a quella Kosher) ritenuta cruenta: l’animale è ucciso per dissanguamento.
Facendo un salto dall’Italia all’Inghilterra, in questo discorso rientra anche la nostra amata pizza: la catena Pizza Express ha ammesso che tutta la sua carne di pollo è macellata secondo i rituali musulmani, creando scandalo. Rimanendo in Inghilterra il Daily Mail afferma che la scelta di servire massicciamente carne Halal è fatta per risparmiare; così leggiamo in un articolo: “avere sia carne Halal, sia non Halal, è costoso e comporta il rischio di servire carne non halal ai musulmani, cosa che negozi e ristoranti sanno che susciterebbe scalpore”.


16/10/2014

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