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Pasquale Cozzolino capeggia le cucine del Ribalta di New York, pizzeria famosissima, di cui tanta stampa americana ha scritto.
Ci racconta cosa significa essere pizzaiolo e chef nella capitale U.S.A. del food.
Pasquale, quanti anni hai e dove sei nato?
«Ho 36 anni e sono nato a Napoli una notte di dicembre sotto il segno del sagittario».
Sei pizzaiolo e chef, giusto? Come hai iniziato questa professione?
«Sì, sono nato professionalmente come chef, poi mi sono appassionato alla pizza fino a far diventare questa parte della cucina un’aggiunta alla mia professione. Ho iniziato a 14 anni, iscrivendomi all’istituto alberghiero Ippolito Cavalcanti di Napoli; i professori che avevo mi procuravano tanti lavori nel fine settimana, e durante le vacanze estive».
Cosa ti ha attirato di questo lavoro?
«Più che attirato cosa mi ha spinto a fare questo lavoro… ad essere sincero non ci ho mai pensato, sapevo che mi piaceva cucinare grazie al fatto che nella mia famiglia la cucina è sempre stata la regina della casa, ed ho preteso dai miei genitori che mi iscrivessero all’alberghiero; loro volevano che io intraprendessi altri tipi di studi, ma la mia testa dura ha avuto la meglio».
In Italia dove hai lavorato?
«Se dovessi elencare tutti i posti dove ho fatto “danni”, non mi basterebbero poche righe! L’attività che mi ha occupato maggiormente è stata “il cuoco in tour”, con i più famosi cantanti italiani ed esteri... giravo con loro e durante i concerti cucinavo per loro e per il loro staff».
Quando sei andato via dall’Italia sei andato subito a lavorare al Ribalta?
«Sono venuto a New York per aprire un ristorante, locato in Midtown Manhattan. Abbiamo avuto un grande successo, dopo soli quattro mesi una fantastica review sul NEWYORK MAGAZINE ci consacrò come miglior ristorante di Midtown. Poi mi trasferii a Brooklyn per aprire una pizzeria con due ragazzi di Brooklyn Hights: anche lì la fortuna è stata dalla mia parte. Infine ho ricevuto la chiamata di Ribalta e ho deciso di far parte di questo eccitantissimo progetto che sta dando i suoi frutti».
Quali sono state le prime difficoltà che hai incontrato all’estero?
«La lingua è stata a mio avviso l’unico ostacolo. Non avevo mai parlato inglese-americano, che è totalmente differente dall’inglese che studiamo a scuola; ma poiché mi piace imparare cose nuove non ci ho messo molto; per quanto riguarda i ritmi di vita, fortunatamente già ero abituato ai ritmi lavorativi in tour durante i concerti, e ai ritmi della ristorazione Napoletana, molto vicina a quella americana per velocità ed organizzazione; io ho sempre detto che New York è una Napoli gigante. Napoli davvero è la città italiana più vicina, per le persone per la loro ospitalità, disponibilità e per la loro follia positiva».
L’aspetto più bello di fare lo chef e il pizzaiolo a New York?
«È la città perfetta per fare questo lavoro, perché c’è di tutto, dal negato in materia di food al super esperto; la gente viene dallo chef, parla con lui, vuole fare la foto, ti sostiene se gli garbi, ti dà tanto e ti toglie tanto se non sei bravo: meritocrazia cinica, ma che ti fa stare sempre sveglio! Ti senti scoperto, una food star. In italia la gente contenta va dal titolare a complimentarsi; a New York esiste solo lo chef».
Il piatto preferito dai clienti oltre alla pizza?
«La genovese, un ragù fatto con tantissima cipolla».
Tu che farina usi?
«Le 5 Stagioni che ha tre caratteristiche: al primo posto metto la varietà ampissima e la qualità delle farine che ti permettono di giocare con le lunghe lievitazioni; al secondo posto la grande preparazione tecnica e quindi il supporto che l’azienda ti dà, al terzo posto il fatto che pur essendo un’azienda enorme, dà la sensazione di essere un piccolo mulino di tanti anni fa, con rapporti sinceri e familiari».
22/12/2014
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