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Non facciamoci del male

Una scuola per la pizza?mani.jpg
Non ci piace l’annuncio fatto in occasione di EXPO (ma guarda un po’, da fiera del cibo è diventata la fiera degli annunci) da alcuni Ministri del Governo (Martina Agricoltura e Giannini Istruzione) di aprire una scuola per pizza per poi magari farla gestire a qualche conoscente. Intendiamoci, l’intenzione è nobile, ma staremmo più tranquilli se il percorso di studi fosse inserito ufficialmente e definitivamente nel piano didattico degli Istituti Alberghieri. La pizza con la sua storia appartiene alla stessa cultura culinaria del popolo italiano, la sua preparazione, dalla fase di impasto alla perfetta cottura, richiede una preparazione adeguata. La scuola italiana deve farsi carico di questo nostro patrimonio, piuttosto che lasciarlo allo stato brado, nelle mani di cultori e maestri il più delle volte improvvisati. Nel mondo della ristorazione è vietato improvvisare, a qualsiasi livello. Per fare “eccellenza” tutto deve essere ai massimi livelli. Oltre che il saper fare, anche e soprattutto la qualità del cibo e delle materie prime che si adoperano.

Concentrato di pomodoro con gli occhi a mandorla pomosdoro.jpg
Un’altra sacrosanta polemica dobbiamo farla sullo schifo che ci sta dietro l’importazione e l’uso di pomodoro cinese. O meglio, di una specie di doppio se non triplo concentrato. Ma più che il concentrato, triplo è lo schifo. La prima schifezza riguarda la produzione stessa dei pomodori cinesi di cui nulla si sa. Su quale terreno, in quali condizioni, come funziona la filiera produttiva? Boh! L’unica cosa certa è che per produrne centinaia di migliaia di tonnellate devono per forza trattare i cultivar con pesticidi e altre porcherie del genere. E devono farlo in quantità micidiali. Tanto chi li controlla! Come seconda schifezza lungo la filiera, anche nel momento dell’esportazione non vengono quasi mai verificate le date di produzione. Un servizio delle Iene ha scoperto un giro di prodotti scaduti da anni. Terzo schifo è quello che il concentrato made in Cina viene importato a un prezzo irrisorio (500 dollari a tonnellata) e poi, confezionato in Italia, gli viene appiccicata l’etichetta con il Made in Italy. Se non è una truffa questa? Agli amici pizzaioli diciamo: occhioni aperti ragazzi, scegliete solo le ditte di conserve più serie e se c’è qualcuno che vi offre il prezzaccio, diffidate, vi sta vendendo il veleno con il quale avvelenerete le vostre pizze e i vostri clienti. Non ne vale la pena. Anche perché, come sapete, per quello che incidono sul costo della pizza (poco), non è risparmiando sulle materie prime che sistemerete i vostri bilanci. Quindi, qualità, sempre! Ok? Lavoriamo con professionalità, passione e positività, e non dovrete temere nessun concorrente. Neanche il numero 1 al mondo.

Domino’s Pizza apre in Italia
A proposito di numero 1 al mondo ci siamo rimasti malino quando abbiamo saputo dell’apertura di Domino’s Pizza anche in Italia. Nessuna catena di pizza industriale aveva mai messo piede in Italia, nessuno ci aveva fatto questo affronto, forse perché nessuno se la sentiva di accettare la sfida del Paese che ha inventato la pizza e dove ci sono più di 30mila pizzerie tradizionali e decine di migliaia di ristoranti, pub e altri locali dove la pizza si sforna. Non è facile per nessuno andare a suonare nella casa dei suonatori. Ma Domino’s l’ha fatto.
Sono americani e sono, per chi non lo sapesse, i leader mondiali della pizza a domicilio, su Wikipedia sta scritto: “Fondata nel 1960 è, oggi, la seconda più grande catena di pizzerie degli Stati Uniti (dopo Pizza Hut e prima di Papa John’s Pizza) con più di 11.000 pizzerie in franchise in 70 paesi nel mondo. Nel 1998 fu venduta a Bain Capital e venne quotata in borsa nel 2004. I menù offrono pizze anche per vegetariani, ali di polli, sandwich, pasta, panini farciti al formaggio e una varietà di dessert”. Come si può leggere sono quindi un colosso della ristorazione.
Per conquistare l’Italia sono partiti da Milano. La pizzeria è stata inaugurata il 7 ottobre e si trova in via della Martinella 1, zona Bisceglie. Il piano d’azione Domino’s è decisamente ambizioso e, a nostro avviso dovrebbe preoccupare non poco, la categoria della pizza artigianale.
L’apertura a Milano è la prima di un piano che prevede molti altri punti vendita nei prossimi anni in tutta Italia, sia di proprietà che, in un secondo tempo, anche in franchising. Per conquistare il Bel Paese e il palato degli italiani che in fatto di pizza non fanno sconti (e fanno bene) Domino’s pizza ha messo subito in mostra i suoi punti forti: “La nostra azienda si basa su due pilastri, egualmente importanti: qualità del prodotto e eccellenza nel servizio. Punti di forza sono infatti una pizza di grande qualità, con prodotti d.o.p. quali il prosciutto di Parma, il gorgonzola, il Grana Padano e la mozzarella di bufala campana, prodotti che acquistiamo da fornitori italiani attentamente selezionati, e la tecnologia digitale innovativa che permetterà ai clienti di ordinare anche online così da assicurare una consegna in tempi rapidi come nessuno è in grado di fare in Italia. Ciò che proponiamo in sostanza è una pizza buona, servita a casa, calda e puntale, che può essere anche ordinata online a un prezzo molto competitivo”.
La domanda che a noi e al nostro pizzaiolo sorge spontanea è: cosa succederà nel comparto della pizza artigianale italiana che conta più di 30mila pizzerie tradizionali, dove la pizza viene fatta dalle mani dei pizzaioli e il cui indotto dà lavoro a quasi 100mila addetti? Non è facile rispondere. Quello che è certo che Domino’s Pizza non conquisterà facilmente il mercato italiano.
Nello stivale il presidio della pizza artigianale è forte e può contare su migliaia di operatori che ogni giorno, nei loro locali, con professionalità e passione (per tornare ai valori a noi cari) e con le loro mani sapienti sfornano pizze nelle quali, oltre al meglio degli ingredienti ci mettono anche un pizzico della loro anima. È qui sta la differenza: fra la pizza artigianale e quella industriale ci sta un abisso. Sarà pure buona, ma a una pizza le cui palline sono state schiacciate come formine, farcite e sfornate una dietro l’altra come in una catena di montaggio, preferiamo quelle imperfette, imprecise che vengono fuori dalle mani dei pizzaioli. Hanno un sapore diverso, ci sta un pezzetto della loro anima, che non potrà esserci, neanche a pagarla a peso d’oro, in nessunissima pizza industriale.


16/12/2015

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