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Sono social, quindi mangio solo

telefonini-a-tavola.jpgPotremmo sintetizzare in questo modo paradossale quello che è il comportamento dei consumatori di oggi. Sono, infatti, sempre più frequenti le scene di ragazzi, ma anche signori e signore attempate, che in un ristorante, invece di chiacchierare amabilmente con i propri compagni seduti allo stesso tavolo, se ne stanno lì con gli occhi e le orecchie persi nel loro smartphone.
Allo stesso tavolo ognuno di loro, con il proprio oggetto magico, chatta, parla, naviga, vede foto, fa giochini, spia la vita degli altri da quel buco di serratura che è facebook ( ma anche gli altri social network non sono da meno per “farsi i fatti degli altri”).
Non è escluso che le persone di quel tavolo, in quel preciso momento, scoprano su Facebook che la persona che gli sta a fianco ha recentemente fatto un viaggio a Londra.
(Ma porca miseria, bisogna scoprirlo su FB? Non si faceva prima a raccontarlo all’amico, visto che sta lì a meno di dieci centimetri. Bho!?).
Non c’è niente da fare, i tempi sono cambiati, il migliore amico dell’uomo non è più il cane, no. Ora è una cosa che non ha né zampe né coda, non abbaia, al massimo vibra.
È qualcosa da cui l’uomo non si separerà mai più, anzi diventerà sempre più parte del suo corpo, questo qualcosa si chiama Smartphone e domani, quando ce l’avranno trapiantato direttamente nel palmo di una mano o dentro un avambraccio, forse si chiamerà bodyphone.
Ma la sostanza non cambierà, e la sostanza si chiama “connessione”: connessione a facebook, instagram, whatsapp, twitter, QQ (che è un social cinese, ma sti cinesi stanno dappertutto?)
La nostra è diventata una società sempre più connessa grazie ai fili invisibili che Internet e i social stanno tessendo fittamente intorno a noi.
Al mondo sono quasi 3 miliardi e mezzo le persone che accedono a Internet.
In Italia sono oltre 37 milioni di utenti attivi su Internet, mentre sono 28 milioni le persone attive sui social network e più di 24 milioni vi accedono tramite smartphone.
I Social, così come Internet, stanno acquistando un’importanza sempre maggiore nella vita di ciascuno, dato testimoniato dal 79% degli italiani che ha dichiarato di accedere alle piattaforme ogni giorno. Una mania incontrollabile, c’è chi addirittura afferma che l’uso dei social, il tenere i pollicioni a smanettare sulla tastiera, curvi sugli schermi, ci sta cambiando anche fisicamente. Un fatto è certo: oggi siamo connessi H24 con il mondo, con tutti gli amici (amici?) del mondo, e in pizzeria, anche se stiamo seduti in una bella tavolata, mangeremo irrimediabilmente e fisicamente da soli.

cellulare-tavolo-2.jpgNo, questo non va proprio bene, per nulla.
Le pizzerie devono essere luoghi di vita e non di giga.
E allora per supportare la nostra tesi prendiamo a prestito le ricerche di un famoso sociologo, Zygmunt Bauman, che ha parlato delle possibili ripercussioni negative dell’uso così pervasivo dei social sulla nostra vita sociale. In un’intervista definisce i social network “una trappola”, perché in realtà non sono semplici aggregatori, ma costruzioni effimere che danno agli utenti l’illusione di essere parte di un gruppo: “i social network creano solo un surrogato di comunità, perché la differenza tra una comunità e una rete è che a una comunità si appartiene, mentre una rete appartiene a voi”. Per Bauman i social network non solo non creano relazioni, ma finiscono per operare un’azione “distruttiva”: “è così facile aggiungere o rimuovere gli amici sui social media che le persone dimenticano le regole del comportamento sociale, necessarie quando si va per strada, al lavoro, o quando ci si trova costretti ad instaurare una relazione empatica con le persone che ci stanno attorno”. Ciò che ne deriva, dunque, è l’incapacità di rapportarsi agli altri, facendo scaturire quella che potremmo definire una “solitudine 2.0”: una sempre maggiore connessione digitale e una sempre più carente interazione fisica.
E allora, affinché i social media non siano portatori di una nuova solitudine, occorre farne un uso sapiente e consapevole: sfruttarli per condividere emozioni e saperi, in modo che aggiungano (e non sottraggano) valore alla nostra socialità, quella esercitata “dal vero”.

Certo, in una rivista che deve parlare di pizza forse è troppo parlare di sociologia.
O forse non lo è per nulla, perché per chi non dovesse saperlo (magari i più giovani) una volta i luoghi social per eccellenza erano le pizzerie.
Una buona pizza era (è resta) grazie al cielo un fantastico connettore di gusto e amicizia. “andiamoci a fare una pizza” era la frase che ricomponeva o rafforzava una storia e un’amicizia, il cibo era il collante prezioso per condividere un’esistenza reale, fisica, autentica.
Ecco perché è triste vedere in pizzeria, un tavolo con i commensali dove ognuno dei quali è perso nelle proprie connessioni, curvi  sui loro aggeggi, mentre parlano con comunità lontane. La pizza arriva quasi come un’intrusa, poi fra un post e un selfie si fredda; di certo gli esseri social avranno poi da imprecare per il fatto che è fredda e non crocca. E allora: “Posa quel cavolo di smartphone, anzi spegnilo proprio, lascialo nel cappotto, liberati una volta per tutte di tutte le inutili connessioni col mondo, alza la testa e guarda chi hai di fronte e digli: come l’hai presa tu? Scambiamoci un trancio, ho voglia di assaggiare il tuo gusto”.

 

Giuseppe Rotolo


16/02/2017

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