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Ristorazione e malavita

Quando il piatto puzza di losco

Parliamo di qualcosa di cui non sempre è “comodo” parlare ma che, dati alla mano, è un fenomeno presente e pervasivo nel mondo della ristorazione italiana, un settore che, come purtroppo altri della nostra economia, è contaminato da situazioni e da “soggetti” che poco hanno a che fare con la legalità. Da uno studio presentato dal Centro Studi Italgrob (Federazione Italiana Distributori Horeca), leggiamo che il settore Horeca (Hotel Restaturant Cafe) il cosiddetto mercato dei consumi fuori casa, è il terzo comparto dell’economia per infiltrazioni malavitose, dopo gli storici settori dell’edilizia, (al primo posto) e della grande distribuzione organizzata. Un dato increscioso che viene confermato anche da un rapporto della Coldiretti secondo il quale in Italia le mafie gestiscono almeno 5mila ristoranti. La parola “almeno” sta a significare che i dati sono stimati al ribasso, fonti non ufficiali affermano che il fenomeno è molto più ampio e soprattutto in rapida espansione.
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Tutti dentro
Ristoranti, agriturismi, aziende agricole, bar, bed&breakfast, trattorie, osterie, purtroppo nessuno è  escluso. Così come nessun territorio risulta immune, non solo le terre storicamente legate alla criminalità organizzata, ma anche Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e soprattutto Lazio raccontano quotidianamente di collusioni con il malaffare per un giro di affari di miliardi di euro.
I dati più allarmanti si registrano nelle grandi città dove addirittura un ristorante ogni cinque (parliamo del 20%) sarebbe nelle mani di persone non proprio immacolate e con stretti rapporti con la malavita organizzata. Mentre sulle nuove aperture i numeri sono più drammatici, si parla di 2 locali ogni 5.
La piaga è dovuta a un sistema malavitoso che impone ricatti ed estorsioni e che acquisisce locali, completando la sua filiera criminale. Con queste modalità purtroppo inquina il settore e distorce le dinamiche concorrenziali, producendo danni aggiuntivi, anche di natura reputazionale per tutto il comparto che, è doveroso ribadirlo è fatto per la stragrande maggioranza di operatori perbene, che lavorano e faticano valorizzando la filiera agro-alimentare. La gestione dei locali da parte della malavita non avviene solo con la formula diretta, ovvero il delinquente che lo gestisce, sul mercato della ristorazione i meccanismi con i quali il malaffare agisce sono diversi, a volte molto sottili e complessi e si configurano in uno spettro molto ampio che va dallo strozzinaggio, a graduali infiltrazioni con mediazione occulta di qualche prestanome. L’unica trama comune è il riciclaggio del denaro accumulato con attività illegali. È ormai acclarato che le organizzazioni malavitose si servono di prestanomi più o meno credibili per acquistare le attività commerciali in difficoltà, poi il copione è il solito: ristrutturazioni, cambio di arredamenti, fatturazione di scontrini fasulli, ordini di merce fantasma: tutto serve a far ripulire il denaro sporco, giustificando cifre altrimenti ingiustificabili. Famoso (poi scoperto) è stato il caso di un caffè nella famosa via Veneto a Roma che era stato acquistato per 2,2 milioni di euro da un barbiere dell’Aspromonte con un reddito dichiarato di 15mila, un’incongruenza talmente evidente che ha indirizzato l’indagine della Guardia di Finanza che proprio seguendo la pista del bar in Via Veneto ha poi scoperchiato altri traffici illeciti per 200 milioni di euro

Un cancro
Sotto la patina patinata della ristorazione si nasconde quindi qualcosa di non raccontabile che è veramente difficile accettare, ma la realtà non lascia alcun dubbio.
È inutile nascondersi dietro un dito, il fenomeno esiste ed è pervasivo, sinuoso e oltremodo pericoloso per un settore che dovrebbe brillare per ben altri motivi, considerando che il cibo, la gastronomia Italiana, la storia, le tradizioni e la cultura che contiene e le tante eccellenze che lo rappresentano viene apprezzato per altri valori.

agromafie-2.jpgSe ne comincia a parlare
Fortunatamente di questo increscioso fenomeno se ne comincia a parlare e dibattere. Ad esempio l’ultimo rapporto di Agromafie ha fatto luce sui nuovi metodi della criminalità organizzata, sempre più attratta - e sempre più infiltrata - nella ristorazione e nella distribuzione. Al recente Festival del Giornalismo Alimentare, il tema è stato sviscerato in un panel dal titolo “Le mafie nella ristorazione e distribuzione”. Anche per la rivista il Gambero Rosso è un vero è proprio virus che sta avvelenando il terreno commerciale nei principali centri urbani e nelle località di maggior richiamo turistico. Hamburgerie, paninoteche, polpetterie, trattorie, raviolerie, pizzerie, friggitorie, botteghe del ramen, templi del sushi, cattedrali dell’alta cucina. L’offerta surclassa la domanda, alla faccia di qualsiasi logica di mercato. Da un recente convegno, sempre organizzato dal Gambero Rosso è emerso che se ne parla poco se non in sporadiche occasioni, anche Il giornalismo gastronomico, che è coinvolto in prima persona, lo rimuove addirittura dalla coscienza come una colpa da celare per non turbare l’equilibrio di un settore in ascesa (soltanto) apparente. Un settore dove salvo eccezioni, con acritica superficialità, si plaude ogni nuova apertura come se fosse sempre una lieta novella. Anche quando l’ombra della mafia è un sospetto incombente. E lo è, come abbiamo detto prima, almeno 2 volte ogni 5. FIPE, (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) pur affermando l’esistenza del fenomeno, puntualizza che complessivamente rappresenta una percentuale minima rispetto al totale dei Pubblici Esercizi italiani, che richiede grande attenzione, azione di prevenzione e di denuncia del malaffare, in collaborazione costante con l’encomiabile attività delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Allo stesso tempo auspica che venga ripreso e rafforzato il controllo del territorio, monitorato lo sviluppo delle imprese, individuando indici di allerta (socio effettivo, importo degli avviamenti pagati, corrispettivi incassati, concentrazione di attività) che evidenziano anomalie sulle quali intervenire, proteggendo i veri imprenditori del settore che devono poter svolgere il loro lavoro liberamente, senza ricatti o distorsioni e soprattutto senza subire una concorrenza sleale e impari.

 

Giuseppe Rotolo


12/06/2018

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