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Niente crisi, siamo pizzaioli
Cari lettori, i vostri locali fanno parte di un giro d’affari complessivo di oltre 30 miliardi di euro l’anno: insieme alle pizzerie di tutta Italia non solo sfornate pizze, ma aiutate anche a mandare avanti l’economia.
Crisi? No grazie
Con la calma e il saper fare tipico del pizzaiolo, il mondo pizza è uscito dagli anni bui. Per la pizza non c’è crisi che tenga. Anzi. Il mercato, dati alla mano, cresce: fra il 2015 e il 2018 le imprese con attività di pizzeria sono aumentate da 125.300 a 127.000 (dati CNA aggiornati al 31 marzo 2018). Vediamo il positivo quadro del 2018, allora, reso ancora più positivo dalla bella stagione passata che ha aiutato i registratori di cassa grazie agli scontrini battuti per le cene e i pranzi dei turisti. Pizzaioli potete godervi qualche giorno di ferie, e tranquilli in pace leggere questo articolo tutto al positivo.Un mercato in salute
Sono più di 76.000 (di cui quasi 40.000 ristoranti/pizzeria e più di 36.000 bar/pizzeria) le attività con somministrazione, 36.000 e passa le attività senza somministrazione (15.000 rosticcerie/pizzeria, 14.000 pizzerie da asporto e il resto gastronomia/pizzeria), oltre 14.000 infine le panetterie che offrono tra i loro prodotti anche la pizza: è un mondo offre lavoro a centomila addetti a tempo pieno (200.000 se contiamo anche gli “extra” nei fine settimana). Il business della pizza, stando al CNA, è uno dei più performanti con le sue otto milioni di pizze al giorno, quasi tre miliardi in un anno. Un comparto che gode di stima presso il consumatore che alla pizza non rinuncerebbe mai.
Flash sullo scontrino italiano
Quanto costa una pizza? La quasi totalità delle pizze tonde “al piatto” costa tra cinque e dieci euro. Sotto i cinque euro costa il 4% delle pizze, così anche le pizze oltre i dieci euro. Le farciture classiche rimangono sempre le più gettonate: pizza tradizionale, come la Margherita o la Capricciosa. La pizza gourmet dei “grandi nomi” è scelta dal 12,1% degli italiani, mentre le pizze bio o senza glutine dal 6,2%. Numeri anche sullo “stile”: la tonda è in testa con il 93,9% delle preferenze, seguita dalla pizza in teglia alla romana (3,1%) e dalla pizza a metro (3%). L’84,8% delle pizzerie usa il forno a legna, il 9,1% il forno a gas e il 6,1% il forno elettrico. Il cliente tipo più diffuso? La “famiglia” (75,8%), seguita dai giovani (12,1%), dai turisti (7,1%), dai meeting (2,5%).
Non solo pizza
Interessante è il dato su ciò che si chiede insieme alla pizza: si ordinano i fritti (51,5%), gli antipasti tradizionali (24,2%), o a fine pasto il dessert (12,1%). Qualcuno fa anche il bis della pizza (6,2%).
La classifica delle regioni “pizzofile”
È la Campania a farla da padrona in termini assoluti, con il 16% delle attività. La seguono, nell’ordine, Sicilia (13%), Lazio (12%), Lombardia e Puglia (10%). Una sorpresa arriva dal rapporto pizzerie/abitanti. In questo caso in testa alla classifica c’è l’Abruzzo, con un’attività ogni 267 residenti. Precede Sardegna (un’attività ogni 273 abitanti), Calabria (285), Molise (307) e Campania (335).
I dati di Unioncamere
Anche Unioncamere conferma che il comparto è sempre florido di investimenti: secondo le sue stime sarebbero quasi 6.000 in più le attività in 5 anni, per una crescita che sfiora il 17%. Secondo Unioncamere poi la Lombardia è la regione in cui si registra anche il numero più alto di “pizzerie a taglio e take-away” (6.176), seguita dal Lazio (4.164) e dall’Emilia-Romagna (3.902). Ma in termini relativi, nell’ultimo quinquennio è stato il Trentino Alto Adige ad aver messo a segno la crescita più marcata (+27%), seguito dalla Sicilia (+24%) e dalla Lombardia (+22%).
Sebbene il quadro generale sia positivo, Unioncamere sottolinea anche come moltissime pizzerie, causa l’alto tasso di competizione, non riescano a durare oltre cinque anni dalla nascita. Delle imprese nate nel 2013, infatti, la metà ha abbassato la saracinesca entro i primi cinque anni di attività e una su tre non è riuscita ad andare oltre il terzo anno. Non ovunque è così, ci sono città “paradisiache” come Sondrio, Aosta, Belluno e Terni nelle quali le chiusure sono state inferiori di oltre 10 punti percentuali alla media nazionale (45,6%). Le città “infernali”, al contrario sarebbero Isernia, Frosinone, Foggia e Brindisi. Sembrerebbe che proprio le pizzerie al taglio e le rosticcerie in queste ultime città abbiano vita più difficile: due attività su tre non supererebbe una vita di cinque anni (dati del Registro delle imprese italiane tra il 30 giugno 2013 e il 30 giugno 2018).
29/10/2018

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