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Le tre facce del cliente: marginali, classe media, elitè
Focus sui loro consumi
Il mercato italiano è diviso in tre; no, non parliamo di divisioni regionali fra Sud, Nord e Centro, bensì parliamo delle tre grandi categorie Istat che racchiudono tutti gli italiani in grandi gruppi: Marginali, Classe Media, Elitè, tre macro categorie che racchiudono stili di vita e capacità di acquisto di persone e famiglie che ogni giorno, in modo diverso e in misura diversa, fanno girare l’economia dei consumi.
Marginali (36% della popolazione), Classe Media (48% della popolazione), Elitè (16% della popolazione) hanno potere di spesa diversi, si orientano verso luoghi di acquisto diversi e, come avrete capito, mangiano fuori casa con frequenza diversa scegliendo tipi di locali differenti fra loro.
Chi pranza e cena fuori casa
Ci concentreremo ora su Classe Media e Elitè, gruppi che, avvenendo un portafogli più pesante, trainano il settore alimentare. A proposito di settore alimentare va detto subito che la forbice fra fuori casa e mercato domestico si è aperta dal 2007: il valore della spesa delle famiglie per il frigorifero decresce, mentre il valore della spesa per il fuori casa cresce ritornando a dei livelli pre crisi (fonte Projettica). Questo non significa che tutti noi mangiamo in pizzeria o al ristorante più spesso, significa che molte famiglie devono contenere il carrello al super, mentre altre fasce di popolazione, più abbienti, pranzano o cenano più spesso e con meno restrizioni, sia per lavoro che per piacere. Magari non ve l’aspettavate, ma voi pizzaioli e ristoratori in generale operate in un settore - quello ristorativo - che è diventato “più pesante” (in senso positivo, cioè più imponente) nel generale mercato alimentare. A trainare il crescente mercato del fuori casa è soprattutto la classe dell’Elitè che ha tempo libero, può spendere, ama intrattenersi fuori dalle mura domestiche e mangia fuori per lavoro o puro diletto.
L’Elitè ammonta a circa dieci milioni di persone, sono la porzione minoritaria degli Italiani, ma hanno un grande ruolo per il food service.
L’Elitè e la voglia di experience
È vero che spendono, ma attenzione, non spendono a caso: ecco perché per intercettarli occorre sempre dare qualcosa in più nel servizio, nell’atmosfera e nell’offerta. La parola chiave è “esperienza”, cioè vivere globalmente il locale, non solo la tavola. Diremo di più, anche il cibo è vissuto dalla Elitè come esperienza; ecco allora abbinamenti mirati cibo vino, piatti ricreati dalla tradizione, portate presentate con particolari accorgimenti, soluzioni di consumo sempre più personalizzate, spesso creative. La pizza non si sottrae: di frequente diventa un piatto unico al centro per tutti i commensali, ma destrutturata in più portate d’assaggio, ben presentata e dai sapori gourmet.
La sensorialità diventa centrale per la categoria Elitè: il sapore è fondamentale, ma lo è anche la modalità di assaggio. Okey al buon food ma importantissima diventa la carta dei vini, o delle birre speciali; la presenza o meno di musica, sottofondo o live; l’ambiente, essenziale o barocco, l’illuminazione, luci alte o luci basse; i coperti, improntati all’ intimità o alla convivialità; il target alto o medio, per coppie o familiare. In sintesi il cliente sceglie uno stile.
Agriturismi
Fra i tanti stili e le tante offerte non possiamo evitare di parlare anche dell’agriturismo che abbraccia i desideri dell’Elitè come della Classe Media e che soprattutto soddisfa la voglia di ritornare alla campagna e al cibo genuino. L’agriturismo va menzionato perché è un segmento che si sviluppa costantemente in positivo; gli ultimi dati complessivi sono del 2017: sono 23.406 le aziende agrituristiche, 745 in più rispetto all’anno precedente. Le presenze dei clienti negli agriturismi ammontano a 12,7 milioni; Qualche altro numero lo diamo per curiosità: 8.225 aziende svolgono sia alloggio sia ristorazione, 10.757 offrono oltre all’alloggio altre attività agrituristiche e 1.987 propongono tutte le quattro tipologie agrituristiche (alloggio, ristorazione, degustazione e altre attività). L’84,2% delle aziende agrituristiche è situato in aree montane e collinari, il restante 15,8% in pianura (dati dall’Istat).
A casa le pizze surgelate
Abbiamo dissertato con qualche numero e con qualche commento sulle cifre del fuori casa, ma perché il quadro sia completo va anche vista l’altra faccia della medaglia: famiglie a basso reddito, disoccupati, pensionati a basso reddito rappresentano una fetta di popolazione italiana che tende al risparmio. E fin qui nulla di anomalo. Quello che invece ci deve far riflettere è invece questo: notoriamente la pizza è un piatto abbordabile da ogni classe sociale e portafogli, senza tener conto che l’asporto e il take away consentono una buona pizza senza costi di coperto e bevande, eppure sembrerebbe che il mercato della pizza surgelata in Italia cresce molto, la scatola presa dai freezer dei supermercati è sempre più consumata. E, se ci pensate, ogni pizza surgelata è una pizza in meno sfornata dal pizzaiolo. Secondo i dati raccolti dall’Istituto italiano alimenti surgelati (Iias), in Italia sono consumate circa 63 mila tonnellate di pizze surgelate, ovvero oltre un chilo a testa e nella classifica dei surgelati è fra i prodotti preferiti. In dieci anni il mercato è raddoppiato arrivando a circa 255 milioni di euro.
Il suo successo sta nella qualità migliorata nel tempo, e nel prezzo, oltre che nella comodità. Poi, ovviamente, la crisi degli scorsi anni ha impoverito molti italiani, quelle che inseriremmo nella classe Emarginati, ma anche molti della classe media che scelgono di risparmiare sul cibo. Dunque, guardiamo pure agli italiani che spendono fuori casa, ma riflettiamo tanto anche sui meno abbienti, i quali stanno rinunciando per qualche euro ad una pizza da asporto che sempre e comunque sarà migliore di un a industrializzata, che sempre avrà tutta la qualità del prodotto fresco sfornato al momento, col suo sapore unico e l’ingrediente principe: l’artigianalità.
06/04/2019

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