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Come sarà la ristorazione italiana dopo il coronavirus? Il parere di 4 grandi critici della gastronomia

A un mese dal lockdown delle attività, una analisi sulla situazione attuale e i possibili scenari futuri nell’ambito della ristorazione, attraverso i pareri di giornalisti ed esperti come Andrea Grignaffini, Enzo Vizzari, Paolo Marchi e Paolo Vizzari

È trascorso un mese da quando l’Italia è entrata nel cosiddetto “Lockdown” da Coronavirus, da quando il tempo sembra essersi fermato e da quando la quotidianità di ognuno di noi è stata stravolta. Un mese che appare come una bolla sospesa, una dimensione surreale che però è apparsa violentemente concreta nel suo abbattersi contro il mondo del lavoro, dell’industria, della produzione, del turismo. Ma soprattutto della socialità. Le parole d’ordine sono principalmente tre: “distanza sociale”, “stare a casa” e il tanto abusato “andrà tutto bene”. Ma è veramente così?

Difficile immaginare un “dopo Covid-19”, ancora più complesso pensare a soluzioni. Ma non impossibile. Anzi, necessario. Perché per mantenersi attivi, per poter superare questa emergenza, e la crisi di tutte le attività che si trascina dietro, servono realismo e spirito di intraprendenza.  Un concetto vero in tutti i settori, ma forse maggiormente acuto nell’ambito della ristorazione. Fortemente colpito nel suo essere più profondo, ovvero quale universo della socialità e della condivisione, il mondo della cucina si è ritrovato bloccato non solo nell’oggi, ma con difficili prospettive per il domani. Il momento attuale si traduce in costi fissi da sostenere, una brigata ferma da mettere in cassa integrazione e fornitori da saldare. Tutto questo a fronte di un fermo totale dell’attività ed entrate nulle. Tutto questo senza sapere quando e soprattutto come si potrà ripartire. Resistere certo, ma sono troppe le realtà che rischiano di non riaprire. Una valutazione che spazia da Pizzerie, Trattorie, Bistrò e Ristoranti fine dining.

 

Sempre più numerose le associazioni di settore che si sono unite per sensibilizzare con appelli comuni e richieste al Governo, volte alla ripartenza del comparto ristorativo. Un SOS lanciato a gran voce, con la speranza che non solo venga sentito ma anche ascoltato e attuato.

Ma come si presenta attualmente la situazione, e quali possono essere le evoluzioni del futuro, agli occhi di esperti gastronomi e giornalisti che vivono da sempre il mondo della ristorazione e del cibo?

 

ANDREA GRIGNAFFINI, giornalista e critico enogastronomico.

“L’idea di una ripartenza per ora rimane vaga, questo soprattutto perché neppure il Governo ha una visione precisa di come e quando sarà possibile riaprire tutte le attività. L’auspicio è che a settembre possa esserci una schiarita della situazione, che l’aria cominci per così dire a “purificarsi” e le attività ristorative tornino ad avere una loro fisionomia definita. Certamente è fondamentale l’arrivo di aiuti economici da parte delle istituzioni.

Parlando di futuro, credo che la tendenza sempre diffusa dell’utilizzo di tavoli più piccoli quale evoluzione della nuova convivialità che si stava sviluppando, anche attraverso la nascita di locali dedicati a questo nuovo concept di ospitalità e ristorazione, dovrà cambiare ulteriormente per tornare a un maggiore distanziamento dettato dalle necessità del “dopo Covid”. Il fattore spazi diventerà cruciale, soprattutto nella fase iniziale. Per fare un esempio calcistico “difendersi in concentrazione e attaccare in rarefazione”, almeno per quanto riguarda quest’anno. Riflettendo sul 2021, penso che l’uomo abbia la capacità di assorbire i colpi e cancellare per poi ricominciare. Quindi, se non ci saranno pericolose ricadute, sono convinto si possa ripartire con più forza”.

 

ENZO VIZZARI, Critico Gastronomico e Direttore de “Le Guide de L’Espresso”

“Sono molto pessimista sulla situazione attuale e sul prossimo futuro della ristorazione, perché non si capisce quando terminerà questo blocco. Si tratta di un mondo costituito per la maggior parte da micro aziende, dalla stabilità complessa e purtroppo compromessa a causa di questo stop forzato.

Pensando al “dopo”, ci sono due aspetti da tenere in considerazione: il primo è che sicuramente saremo tutti più poveri in termini di ricchezza; il secondo, che non tutti avranno il pensiero o desiderio di uscire per andare al ristorante, da una parte per comprensibile timore e, dall’altra, appunto per una maggiore attenzione all’aspetto economico. In virtù di questo, il problema per gli chef non sarà cambiare la proposta gastronomica all’interno dei propri ristoranti, piuttosto capire se la clientela sarà disposta a spendere. Questo è ciò che vedo, almeno fino a tutto questo 2020, ossia che non si tornerà in tempi brevi alla situazione precedente, sarà un processo lento e graduale. E certamente, all’inizio, il fattore psicologico dato dalla paura potrà incidere”.

 

PAOLO MARCHI, giornalista e ideatore/curatore di Identità Golose

“I miei nonni erano trentini e hanno passato le due Guerre Mondiali, ma da punti di osservazione differenti, perché la prima volta dalla parte degli sconfitti e liberati con l’annessione del Trentino all’Italia. Sono stati anni di grande paura e sofferenza, ma vissuti come opportunità per sconvolgere il sistema e ripartire.

Quello che dovremo pensare in questo momento è di essere in guerra, per poi vivere il “dopo” come una sorta di “rinascimento”. In questo contesto, la ristorazione non potrà rimanere quella di prima, ma vivrà una vita e un decorso molto complesso. Sarà necessario ricostruire la voglia delle persone di andare al ristorante e trovare, al contempo, soluzioni alternative nell’attesa che il tutto si stabilizzi: delivery, consegne a domicilio per esempio. In aggiunta, bisognerà porre attenzione anche alle direttive che verranno emanate, ossia che i vincoli non siano tali da rendere mortificante l’esperienza di un pasto al ristorante e, di conseguenza, l’aspetto conviviale.

Un altro fattore riguarderà l’adattarsi alla diffidenza delle persone. Poi sì ci sarà la terza fase, quella della ripartenza e del sorriso. La mia idea è che spariranno i menù chilometrici e andrà valutato il contenimento dei costi. Ma dobbiamo essere coscienti che, fino all’anno prossimo, non avremo stranieri in Italia e questo porterà a concentrarsi ancora di più sul nostro mercato interno e sulla necessità di promuovere e sostenere il Made in Italy”.

 

PAOLO VIZZARI, critico gastronomico

“Da tempo non vedo alternative allo stallo. Oggi, di concreto, non si può fare molto se non pensare a progetti che siano però impostati su più variabili capaci di dare risultati in base agli accadimenti di cui adesso non si conosce l’evoluzione. Perché, anche solo se si riflette sul fattore “persone”, non c’è modo di sapere oggi cosa vorranno fare. Azzardare previsioni sul cambiamento di abitudini e scelte della clientela è un po’ come giocare al rosso e al nero della roulette. Ciò che posso dire, e non viene affrontato come problema, è che la riflessione prevalente non deve essere posta sul fine dining ma sulle realtà ristorative che vivono di grandi numeri e costi moderati: prezzi più alti portano a probabile perdita di mercato, esattamente come la necessità di mantenere le distanze di sicurezza comporterà l’eliminazione di tavoli con conseguente danno economico.

Sono, quindi, convinto che tutti noi dovremo ragionare in modo differente e abituarci a cambiamenti nella modalità di frequentazione dei ristoranti. Giusto per fare un esempio, mi riferisco alla possibilità di dilatare gli orari dei pasti, per permettere una affluenza suddivisa su tempi più lunghi e mantenere una buona percentuale di clientela. Questo almeno fino a quando le norme non cambieranno.

In tutto ciò, il fine dining credo possa avere una forma di protezionismo proveniente da chi già lo sosteneva prima. Più in generale, siamo caratterizzati da quella componente di “anima” molto marcata che ci porterà a tornare a frequentare i ristoranti. Nel prossimo futuro vedo piuttosto limitato il senso di scoperta ed esplorazione, favoriremo i posti del cuore e vi sarà un lungo periodo di ritorni. Probabilmente, in quest’ottica, chi avrà maggiori problemi saranno proprio coloro che avevano aperto da poco.

Progettualità e consapevolezza li reputo fattori imprescindibili, ma anche la necessità di appoggiarsi a professionisti da cui farsi consigliare per il meglio quando questa riapertura sarà possibile. Da qui, l’idea che ci sia bisogno di una sorta di consulenza solidale che alcuni esperti, ognuno nel proprio ambito di intervento, possano dare agli chef per rialzarsi e vivere la nuova situazione. E anche per ciò che riguarda le modalità di raccontare la cucina, dobbiamo comprendere che è cambiato il cosiddetto “mood” di percezione, che sarà importante descriverne i lati e gli aspetti positivi tralasciando la negatività che non serve a nessuno.

Ecco, questo è il mio pensiero. Triste per il presente, ma ottimista nel futuro e nella capacità di osservarsi in modo oggettivo per dare spazio alle idee”.

 

fonte e foto: reportergourmet.com


23/04/2020

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