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La Pizza da chef: un fatto non di costi, ma di emozioni

PADOAN.jpgSull’evoluzione della pizza verso orizzonti più creativi e sperimentazioni da chef, domandiamo a Simone Padoan, pizzaiolo ormai famoso in tutta Italia per le sue creazioni, pizze fatte con cura e consapevolezza del proprio lavoro, dal condimento “gourmet” all’impasto digeribile.
La fama di Simone, che lavora nella nota pizzeria I Tigli, a San Bonifacio (Vr), è spesso stata acclarata da articoli su riviste e siti professionali come Bargiornale, il Gambero Rosso, Dolce Salato, e su varia stampa (Oggi, Il Corriere della Sera e molti altri). Per descrivere la sua professione di pizzaiolo che ha trasformato la pizza in piatto “da degustazione”, Padoan ha anche scritto un libro, L’Arte della Pizza, un volume in cui è presentata una inedita storia della pizza che segue delle fasi salienti: l’accurata scelta delle materie prime, la creazione dell’impasto, i segreti della lievitazione e, infine le ricette, pubblicate come in un menu. L’importanza dell’arte della pizza, ci spiega Simone, sta soprattutto nella conoscenza del prodotto, dall’impasto fino alla farcitura. Come dice lo slogan del sito de I Tigli “Una volta selezionata la materia prima, continuo a ricercare...”. Questa frase di Padoan sintetizza la sua filosofia: lo chef, come il pizzaiolo, è colui che è maestro nel lavorare gli ingredienti al fine di ottenere un cibo gustoso e digeribile. Per fare un piatto di alta cucina non occorrono cifre da capogiro per acquistare ingredienti rari e costosi. Occorre avere arte ed esperienza per proporre un piatto che non si può ripetere a casa, che è unico, e che emoziona.

Secondo Lei da quando la pizza ha iniziato a sdoganarsi da piatto “povero” diventando un prodotto che può essere ritenuto di alta cucina?
«Alta cucina e prodotto “povero” non sono due mondi diversi. La pizza sta cambiando e noi ci sentiamo causa di questo cambiamento. Il cammino, per quello che Lei intende “sdoganamento” è ancora molto lungo. Serve una maggiore professionalità e una presa di coscienza da parte degli operatori».

Se la pizza sta diventando in taluni casi un piatto “ricco” e raffinato (ricordiamo anche, oltre alle sue pizze quelle internazionali di Crolla, di Nino e Pulino’s a News York, di Renato Viola in Italia) il pizzaiolo sta assumendo un ruolo diverso nella visione della ristorazione? O è ancora visto come subalterno allo chef?
«Le rispondo con una provocazione: è il mondo della ristorazione che vede il pizzaiolo come un subalterno o è il pizzaiolo che si sente diverso dagli altri?»

Secondo Lei c’è un limite alla fantasia delle farciture per la pizza? Oppure tutto è concesso? Non si rischia di “snaturare” il prodotto?
«Ecco cosa intendo per maggiore professionalità: per non rischiare di “snaturare” un prodotto bisogna conoscere, comprendere e capire. Solo così si può innovare!»

Ci faccia un esempio di pizza molto ricercata del menu della sua pizzeria.
«Una pizza con il Crudo di Gambero Rosso, burrata mantecata, carciofi e chips di mandarino. Sicuramente un azzardo ma, la bravura di uno chef-pizzaiolo è data, oltre che dal creare un giusto equilibrio tra base di pasta lievitata e materia prima utilizzata anche dal saper trasmettere l’emozione di una creazione».

Come nasce questa sperimentazione? Da dove trae ispirazione per le sue ricette?
«L’ispirazione nasce dal mio percorso di vita: dal passato, dal presente, da quello che faccio, dalle persone che incontro e dalle cose che vivo nel quotidiano. Ogni piatto che crei è una parte di te!»

La pizza gourmet si può accostare anche a grandi vini?
«Certo che si… Però ricordo che come la pizza può essere un grande piatto fatto con ingredienti poveri così anche un grande vino può essere tale ad un prezzo accessibile».

Una pizza da chef però, non è solo accostamento di ingredienti raffinati. Non bisogna dimenticare l’impasto… come reputa, per la sua esperienza, il livello medio dei colleghi pizzaioli da questo punto di vista?
«Qui si fraintende la professione dello chef, essere un cuoco non significa usare caviale, ostriche o tartufo bianco; è un mondo molto più ampio, colto, sensibile e rispettoso della materia prima. Questa è la lacuna più grande che vive oggi il pizzaiolo. Bisogna imparare i metodi, i sistemi e le tecniche della cucina, applicandole alla pizza».

Qual è stata la sua prima pizza di “alta gastronomia”?
«Al di là che il mio è stato un percorso che si è creato nel divenire, proporre la pizza a degustazione non significa che sia un prodotto di nicchia. A mio avviso è l’espressione più bella di quello che è il piatto unico italiano».

Quanto tempo occorre per preparare una pizza “gourmet”?
«Quantificare il tempo diventa difficile in quanto soggettivo. Il fulcro di tutto il nostro lavoro è il lievito naturale: come ben sapete i tempi e le lievitazioni rallentano molto. A questo vanno aggiunti i tempi di realizzazione della linea che viene preparata quotidianamente in quanto utilizziamo solo prodotti freschi. Insomma una Pizza a Degustazione percorre un lungo cammino prima di essere servita al tavolo con un obiettivo ben preciso: Emozionare».


25/04/2011

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