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L’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense è il virtuoso esempio dell’alta ristorazione che parte dalla terra
Qui la ristorazione è l’apice di una storia familiare che si intreccia con la grande Storia italiana: parliamo dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense, a pochi metri dal fiume Po. In un castello del 1300, Massimo e Luciano Spigaroli hanno realizzato, con la capacità e l’amore degli imprenditori lungimiranti, un ambiente elegante, ma strettamente collegato alla rusticità, un punto di incontro fra alta cucina da Stelle Michelin e calore familiare.
Proprio Luciano ci racconta qual è lo spirito che ha guidato le sue scelte in sinergia con suo fratello, lo Chef Massimo Spigaroli.
«Il bisnonno lavorava niente poco di meno che nel podere del musicista Giuseppe Verdi. Ma per sua sfortuna, o forse per sua fortuna, commise l’errore di uccidere una lepre, attirandosi l’ira del maestro Verdi che lo licenziò. Così il bisnonno andò via e lavorò qui, nei poderi di corte Pallavicina. Nel ’61 poi, la nostra famiglia aprì il primo vero punto di ristoro a pochi chilometri da qui. Noi siamo riusciti ad acquistare la Corte Pallavicina nel 1990, quand’era diventata ormai un rudere, ma siamo riusciti a farla splendere di nuovo».
Qual è la vostra idea di ristorazione?
«La nostra idea di ristorante, alla quale è legato il Relais e il Museo del culatello, nasce dalla nostra infanzia: siamo nati in una zona che era diventata povera, ma alla quale siamo sempre stati legati, così come eravamo legati alla Corte in cui il bisnonno ha lavorato. La scommessa è stata puntare sul buon cibo della nostra campagna, oltre che sulla bellezza storica e paesaggistica. La scommessa è stata vinta. I giovani scappavano dalla campagna, oggi c’è un ritorno».
Cosa deve motivare chi apre un ristorante?
«I valori devono animare un’attività imprenditoriale: i nostri sono stati la rivalutazione di una zona, quella vicina al Po, che non era affatto amata dal punto di vista abitativo e turistico. Ma i fiumi sono da sempre ricchezza per l’uomo e noi abbiamo creduto alla ricchezza della terra. In generale io ho grande fiducia nella potenzialità della provincia italiana. Qui si trova la qualità della cucina e dell’accoglienza».
Come vede il suo settore in questo periodo critico?
«La scommessa post crisi è, a mio parere, incentivare una gastronomia e un turismo nella provincia che io chiamo “la vera Italia”. Investire al di là delle città famose. Scommettere nelle zone abitate dalla maggior parte degli italiani, altrettanto ricche di paesaggi, bellezze e storia. Io penso ai borghi storici, ai paesi di provincia, alle campagne, dove si coltiva e alleva e si mangia bene, dove si può optare per una gastronomia e un turismo lento e che è già e sarà sempre di più il turismo enogastronomico del domani».
C’è qualche altro tema su cui riflettere?
«Sì: dobbiamo avere rispetto di chi lavora con noi e per noi. Penso a stipendi e orari dignitosi che permettano a chi lavora nella ristorazione di avere il tempo per la propria vita personale. La pandemia ci ha insegnato il valore degli affetti e del tempo. Pertanto, anche i ristoranti devono avere ritmi umani per il personale e non devono essere aperti h24; il cliente lo accetterà perché in quel ristorante in cui c’è rispetto per il personale troverà uno chef, un cameriere, un responsabile di sala felice del suo lavoro e un servizio all’altezza del luogo e della cucina».
Dopo Roma, Venezia, Firenze, chi viene in Italia vuole assaggiare l’incanto di svegliarsi guardando da una finestra lo scorcio di un piccolo borgo, il riflesso di un lago, lo scorrere di un fiume, il verde di una collina. Vuole gustare la cucina italiana legata a quel territorio: l’esempio virtuoso dei fratelli Spigaroli insegna che dietro l’angolo tutti abbiamo un tesoro, in ogni nostro paese. Va colta l’opportunità di lavorare e vivere bene nella nostra provincia, anche quando essa appare più povera o spoglia. Perché è dove sembra che ci sia meno che il più delle volte si ha lo spazio per crescere rigogliosamente.
www.anticacortepallavicinarelais.it/
Articolo tratto da Pizza&core Colletion n 112
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