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Villa Giulia: storia, arte culinaria e amore familiare
Una tenuta di campagna aristocratica e storica, uno chef innamorato delle materie prime e dei suoi figli: Villa Giulia incanta per i piatti, l’atmosfera e la bellezza che traspare in ogni dettaglio.
Antonio Fucile, lo Chef Patron di Villa Giulia, inizia quest’intervista facendo subito una premessa: «Non sono un grande parlatore, riesco a dire chi sono attraverso la cucina».
Ma voi amici lettori continuate a scorrere le righe dell’articolo dedicato a Villa Giulia: Antonio ha tanta delicatezza e amore nel suo cuore di siciliano, padre e cuoco, che ci ha saputo emozionare anche con le parole.
Partiamo dall’inizio, Antonio?
«Ero già in proprio con un mio ristorante a Randazzo, prima di aprire Villa Giulia. Mia figlia Giulia, alla quale ogni giorno dicevo “Sei la mia principessa”, intorno ai dieci anni di età iniziò a rispondermi “Se sono la tua principessa, devo avere anche un castello”, riferendosi proprio alla villa che oggi è la nostra “Villa Giulia”, nome dato in suo onore. “Bene allora un giorno ti comprerò questo castello” le rispondevo».
E così piano piano, il desiderio divenne realtà; hai messo d’accordo gli eredi, comprato la tenuta, con il suo palmento e i terreni, vigneto compreso…
«Era il 2007. Abbiamo iniziato a ristrutturare pian piano i tanti luoghi della tenuta, pensi che fra poco apriremo anche un albergo».
In questo possedimento, ai piedi dell’Etna, vi abitò l’arcivescovo di Calderara, veniva ospite dell’arcivescovo il Principe di Spadafora, per la bellezza di questi luoghi, la Chiesa non badava a spese. Oggi entrando si assapora la rusticità di una tenuta di campagna, immersa nel verde, con un uliveto, il frutteto e il vigneto, ma si è colpiti anche dalla raffinatezza di una dimora signorile, perché all’epoca i maggiori esponenti della Chiesa vivevano da veri nobili.
Parlaci della tua arte culinaria
«Avevo già un mio ristorante, come vi ho detto. Mettermi in proprio per me ha significato non solo crescere imprenditorialmente, ma ha significato poter essere me stesso. Da Chef e titolare posso decidere io le materie prime dei miei piatti, cogliendo le sfumature che differenziano un tartufo di Norcia da un tartufo coltivato, un tipo di cottura da un altro, la freschezza e qualità di una materia prima, l’abbinamento giusto per costruire un sapore che rimane impresso nella memoria di chi gusta un piatto che cucino. È una questione di identità, di cuore, non di soldi. Oggi poi, in questo luogo di pace e bellezza, sono immerso nella natura e ringrazio Dio della fortuna che ho. Ogni mattina la natura mi ispira. Anche un’erba da pascolo può trasformarsi in un piatto speciale, se si conoscono e riconoscono le caratteristiche peculiari. Qui curiamo anche il vigneto e produciamo il nostro Etna Rosso DOC. Immaginate che soddisfazione ci sia nel mettere in tavola, per un cliente, un doc fatto con le uve della tua terra? Tutto questo amore per il dettaglio ripaga i sacrifici del lavoro duro di cuoco, ma soprattutto dimostra che per me il cliente è una persona sacra, a lui devo offrire il meglio perché lui ha scelto me e non posso, né voglio, né devo tradirlo, merita il massimo dell’esperienza gustativa e il massimo della qualità».
Questa dedizione, vi assicuriamo, traspare dalla voce di Antonio: non sono parole dette per caso, non è marketing, è amore per la cucina e per le persone che, entrando nel ristorante, ne godono tutti i piaceri. Essere cuoco è stata per lui una scelta consapevole: ha frequentato l’Alberghiero di Giardini e, vinta una borsa di studio, giovanissimo, è stato presso la scuola di Gualtiero Marchesi.
Mi dici qualcosa di più del tuo tiramisù alla provola?
«Questo dolce nasce dall’idea di servire uno dei più classici dolci della ristorazione, ma la mia idea di sicurezza alimentare per anni mi ha frenato nel metterlo in menu. Finchè, dietro la pressione dei clienti, ho deciso di studiare come realizzare una crema sicura e ho rivoluzionato il dessert sostituendo il mascarpone con una mousse di provola e uovo pastorizzato a 80° C+; sono riuscito a creare un tiramisù che sposa la mia idea di territorio, tradizione e sicurezza».
Antonio, hai poco più di 50 anni, sei giovane, ma so che c’è già il tuo successore, vero?
«Sì, è mio figlio Vincenzo, ha diciassette anni e appena sarà maggiorenne andrà all’Alma, la nota accademia di alta formazione in Cucina e Ospitalità. Non ho augurato mai ai miei figlio di fare il mio mestiere, perché toglie molto alla famiglia, ma Vincenzo sembra avere la cucina nelle vene: sa motivare il team di lavoro, è curioso, sperimenta, si approccia ai fornelli con disinvoltura, io lo guardo ammirato e con affetto di padre».
Antonio, secondo noi ha percepito non il sacrificio di questo mestiere, ma il tuo amore per la cucina. Ed è bello che porti avanti e non disperda quello che hai costruito.
«Grazie mille, sì io amo davvero tanto questo lavoro, anche se porta via tutto il tuo tempo. Vincenzo sarà anche più bravo di me, ma soprattutto gli auguro di essere felice».
www.ristorantedantonio.com | Contrada Calderara, SS120 | 95036 Randazzo (CT)
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