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Ristorazione anno zero

L’epidemia di Coronavirus oltre ad essere una grave emergenza sanitaria, giorno dopo giorno ha logorato e indebolito irrimediabilmente anche l’economia del Paese. 
A seguito del decreto “Io resto a casa”, uno dei settori maggiormente colpiti è stato quello della ristorazione. Un lungo stop che ha di fatto immobilizzato un flusso di liquidità vitale per tutta la coronavirus.jpgfiliera. Il violento tzunami ha colto del tutto impreparate le aziende di ristorazione a fronteggiare una situazione tanto difficile, quanto inattesa. Il devastante periodo di lockdown, secondo FIPE Federazione Italiana Pubblici Esercizi, costerà oltre dieci miliardi di mancati incassi ma il conto è destinato a crescere, ed un eventuale recupero nella seconda metà dell’anno non è affatto scontato. Secondo attenti analisti il prolungato blocco delle attività, la notevole perdita di fatturato andrà ad incidere irrimediabilmente nella stessa numerica dei punti di consumo che attualmente in Italia sono oltre 300.000mila. 
Ma oltre ai gravi danni che l’emergenza ha provocato, le preoccupazioni maggiori sono ora per il dopo, la stagione estiva appare del tutto compromessa, così come è tutto da decifrare l’atteggiamento che avranno gli italiani, i consumatori, nel tornare a mangiare fuoricasa dopo il Coronavirus. E allora cosa accadrà dopo la pandemia alla ristorazione italiana, quanti avranno la forza di riaprire, che ristorazione avremo?  Sicuramente, bar, ristoranti e pizzerie saranno oggetto di limitazioni, quanto meno di nuove e più stringenti regole atte ad evitare contatti e affollamenti.
Pertanto oltre alle gravi perdite dovute alle lunghe settimane di forzata chiusura anche nel post corona virus il settore della ristorazione si preannuncia molto difficile.
I locali dovranno ottemperare a specifiche misure di sicurezza sanitaria: maggiore sanificazione degli ambienti, un adeguato arieggiamento, garantire la distanza di un metro fra gli avventori, dotare il personale di protezioni sanitarie. 

coronavirus-2.jpgl timori del cliente post Covid-19 
Insomma nuovi costi da gestire. Ma quello che preoccupa e che arreca maggior incertezza, sarà il comportamento del consumatore post Coronavirus, ammesso e non concesso che ci sia davvero un post definitivo, cauto, timoroso, preoccupato, sospettoso. La socialità è un bisogno primario che vive di contatto, frequentazione e dialogo e vive per lo più nei locali del fuoricasa. E quindi il dubbio atroce è come si approccerà il consumatore post coronavirus a questo mondo, quanto il vissuto stress andrà ad incidere nelle sue scelte?  La disinvoltura di un tempo non potrà essere recuperata velocemente, la metabolizzazione di un trauma richiede tempi imprecisati.
Autorevoli psicologi affermano che gli italiani dovranno in qualche modo fare i conti con il disturbo post-traumatico da stress che condizionerà certamente la frequentazione dei luoghi pubblici, bar ristoranti pizzerie. Passata l’emergenza gli italiani si porteranno dietro una memoria negativa di Covid-19 non rimossa che potrebbe inibire quei contatti umani che in quei luoghi naturalmente avvengono. Per fronteggiare il colpo quasi mortale di Covid-19 i ristoranti almeno inizialmente dovranno snellire al massimo i loro costi, riorganizzarsi con manodopera ridotta all’osso, tenere conto delle nuove e mutate esigenze dei consumatori che, dopo il Coronavirus, avranno inevitabilmente un approccio alquanto sospettoso con la ristorazione, così come per i luoghi affollati.

La strada della ripresacoronavirus-3.jpg
Il settore dovrà far fronte a uno scenario di tipo post bellico per diverso tempo, il turista straniero tarderà a farsi vedere, si ripartirà quindi dagli italiani. Ogni settore, dall’alta cucina fino al fast food, dovrà riposizionarsi con l’offerta e adattare ai tempi il modello gestionale. Ad esempio i ristoranti di alta cucina dovranno riporre attenzioni particolari al contenimento dei costi per arrivare alla sostenibilità economica. Nel frattempo dovrà essere prestata un’attenzione quasi maniacale alla sicurezza igienico ambientale per il cliente. Una certezza comunque c’è: più prodotti made in Italy e meno esterofilia, e questo alla fine è certo un bene per le produzioni nostrane. Il punto di partenza sarà quasi sicuramente legato alla riscoperta della territorialità, una tendenza del resto già in atto prima della crisi. Il valore della territorialità rappresenterà una grande opportunità questa anche per la distribuzione, e per i piccoli depositi indipendenti di ingrosso, che potranno in questo modo mettere a frutto la loro conoscenza del territorio e valorizzare i prodotti autoctoni. Inoltre la crisi andrà a rafforzare quella tendenza al green che era già in atto. Anche in questo caso non mancheranno i vantaggi per quegli operatori che sapranno bene inserirsi e sfruttare al meglio la cosiddetta economia circolare che sarà certamente un must negli anni a venire. “É nella crisi che vengono fuori le soluzioni e le idee migliori” affermava un genio come Albert Einstein, in altri termini la fame aguzza l’ingegno, la proverbiale creatività degli italiani darà segno di se: il delivery, le consegne a domicilio, potrà essere una valido sbocco di mercato con un potenziale non ancora del tutto esplorato, e poi, per quanto riguarda la cucina, largo a menù che sappiano proporsi con quel mix speciale fatto di: territorio, salute, il tutto condito dal tradizionale riconosciuto buongusto dei ristoratori italiani. L’enogastronomia e la ristorazione sapranno ripartire, le fondamenta restano, ora bisogna approfittare di questo periodo di forzata chiusura per riorganizzare le aziende, gettare via inutili zavorre, impratichirsi delle nuove tecnologie, voltare pagina e prepararsi alla grande e difficile sfida del post Coronavirus.

 

Giuseppe Rotolo


06/05/2020

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